27 gennaio: per non dimenticare che non bisogna dimenticare

Ogni anno viene il 27 gennaio. Così come il 26 o il 28, nulla di trascendentale. Ma questa non è una data qualunque. Tant’è vero che ci stiamo incontrando tutti per parlare di qualcosa, esattamente come lo facemmo il 27 gennaio scorso e quello precedente. E’ una ritualità. No, tutti quei morti non rivivranno grazie a noi che trascorriamo due ore di raccoglimento e di cultura. Nessuno di loro verrà a stringerci la mano, a nessuno dei sopravvissuti il marchio del lager si sbiadirà, nessun parente verrà risarcito, nessun dolore verrà lenito, nessun granello di cenere che ancora vola sopra Auschwitz si poserà grazie a noi che facciamo assemblea. L’omaggio che noi facciamo loro è, però, anche nel nostro rispetto. Siamo noi a non doverli dimenticare. Il nostro dovere di esseri umani è questo. Sappiamo che molti si annoieranno, che molti diranno Che palle, che molti diranno Di nuovo?!, che molti vegeteranno. Ma la consuetudine, questa consuetudine, ha radici di ferro, anzi d’acciaio. Per noi è motivo d’orgoglio portarla avanti. Perché molto presto la Memoria sarà nelle nostre mani dirette, molto presto i superstiti di quella sciagura e di quegli anni morranno di morte naturale, magari pure maledicendo la fortuna che hanno avuto rispetto alle loro mamme, ai loro figli, ai loro fratelli più deboli, la fortuna di campare fino a oggi, di vivere altri sessantasette anni dopo l’inferno. E quando loro non ci saranno più, toccherà a noi Ricordarli, Ricordare quanto hanno passato. Questo è un nostro dovere. Nel giorno in cui l’ultimo uomo sulla terra dimenticherà Auschwitz e la Shoah, la civiltà morirà di nuovo, possa anche avere i mezzi di trasporto e di comunicazione e i comfort più all’avanguardia. Ogni volta che qualcuno se ne dimentica, la civiltà muore un pochino, ogni volta che qualcuno cambia canale se in tivù danno programmi sulla Shoah, ogni volta che qualcuno sonnecchia mentre se ne parla, ogni volta che accadono queste cose, la civiltà muore un pochino. E noi dobbiamo lottare contro la morte della civiltà! E’ per questo che siamo così attenti al tema. Non per annoiare il prossimo, non per appesantirlo. Per innalzarlo. Affinché si erga sopra l’indifferenza, quella della poesia di Brecht riportata in queste stesse pagine. Affinché, già da piccoli, perché siamo infinitamente piccoli, possiamo avere coscienza di ciò che è stato, e possiamo sacrificare una parte, una minima parte del nostro cuore, a lottare contro la dimenticanza, l’indifferenza e la noia, possiamo educare quel pezzettino del nostro cuore a gridare con tutto il fiato lo schifo che ha scoperto nel guardare le immagini che gli abbiamo mostrato, possiamo educarlo a santificare le lacrime, lo svenimento, l’urto del vomito che sono stati da esso prodotti nell’osservare le immagini, nell’udire la brutalità di testimonianze non inventate (Primo Levi lo specificò addirittura: “Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato”). Se ci riusciremo, avremo fatto il nostro dovere, e dato un po’ di sollievo alla civiltà moribonda, annoiata, vegetale e indifferente. E’ per questo che perseveriamo nella consuetudine. Per questo le due ore di assemblea di classe che potevamo spendere a guardare un film o a discutere dei problemi della classe le impegniamo qui. Per questo, e non per inorridirvi, vi mostriamo immagini della stanza di Auschwitz in cui si trovano i capelli dei deportati. Per questo vi sottraiamo l’assemblea di classe, non per privarvi di un diritto. Perché vi vogliamo bene, e ci vogliamo bene, e, ritenendo che la Memoria sia uno dei polmoni della civiltà, ci teniamo a vivere in una civiltà che respiri bene. Per tutti.
Adriano Ciraci

Questo articolo è comparso su un numero speciale di Odissea, quello del 27 gennaio, che è ormai diventato prassi della nostra scuola, così come l’assemblea del giorno stesso, l’assemblea, appunto, della Memoria. La Memoria Storica è uno dei valori cui la comunità scolastica tutta tiene di più, uno dei vessilli della nostra libertà, della nostra espressione e del nostro impegno civile, sociale, politico. Vessillo a tal punto da radicarsi, ormai, nella nostra tradizione di scuola, oltreché di comunità umana. A testimonianza di questo, il 2 aprile prossimo, ospiteremo, per la presentazione di un libro, uno degli eroi della nostra Resistenza: Rosario Bentivegna, autore di “Senza fare di necessità virtù”, edito da Einaudi, ma soprattutto esecutore materiale dell’attentato di via Rasella, il 23 marzo del 1945, quello da cui ebbe origine, il 24 marzo, la strage delle Fosse Ardeatine. Molti di noi avranno già affrontato, per quella data, un viaggio di istruzione proprio a Roma, in occasione della commemorazione di quell’eccidio. Siamo sicuri che l’incontro con un personaggio storico e politico tanto importante non potrà che accrescere il nostro interesse verso il tema della Memoria Storica, e farà sì che la scuola rispetti fino in fondo quello che è il suo compito in senso lato, e cioè quello di tempio della cultura, di luogo in cui si impara, ci si educa, non solo al latino, al greco, alla matematica, ma anche, e forse principalmente, a diventare cittadini coscienti, informati e immuni dall’abulia, dalla dimenticanza, dal revisionismo, dalla noia e dall’indifferenza.